Il Tribunale dei Minorenni di Bari, applicati gli articoli 38 e 41 L. 218/1995, 35, 36, 44 lett. d) L 184/1983 riconosce l’efficacia in Italia di una sentenza della Corte di Appello di Bruxelles con la quale veniva dichiarata la adozione piena di una minorenne, da parte di una cittadina italiana non coniugata.
Analizziamo oggi quindi una fattispecie relativa alla richiesta di trascrizione in Italia di una sentenza di adozione piena di una minorenne, pronunciata da un Tribunale straniero (Bruxelles) in favore di una cittadina italiana nubile.
È appena il caso di ricordare che con l’adozione legittimante il minore adottato diventa figlio “legittimo” dei genitori adottivi. Ciò produce i seguenti effetti giuridici:
- la sostituzione del proprio cognome con quello dei genitori adottivi e la trasmissione di quest’ultimo alle generazioni future;
- l’acquisizione di parentela con la famiglia allargata dei genitori adottivi;
- l’interruzione di ogni legame giuridico e rapporto con la famiglia biologica, salvo che per i divieti matrimoniali.
Il nostro ordinamento disciplina due tipologie di adozione legittimante
- adozione nazionale
- adozione internazionale
Con l’adozione non legittimante il minore adottato non acquisisce la condizione di figlio legittimo dei genitori adottivi. Ciò produce i seguenti effetti giuridici:
- il mantenimento del proprio cognome d’origine, che viene posposto a quello dei genitori adottivi;
- il minore diventa erede dei genitori adottivi, ma non stabilisce legami di parentela con gli altri componenti della famiglia adottiva;
- mantiene alcuni obblighi nei confronti della propria famiglia d’origine (tipico il mantenimento).
Il Legislatore ha disciplinato tipologie di adozione non legittimante nella adozione nei casi particolari, ex art. 44 lett. L. 184/1983 – adozione del figlio del coniuge, adozione del minore in affido…-
Nel caso in esame la Ricorrente da oltre vent’anni vive e lavora a Bruxelles e nel 2016 si rivolgeva al Tribunale per i Minorenni di Bruxelles affinché dichiarasse l’adozione della minore affidatale a sette mesi nel 2008.
La bambina sin dalla nascita era stata vittima di maltrattamenti da parte della madre biologica che aveva attentato alla sua vita già nell’ospedale in cui l’aveva partorita.
Nel 2018 la Corte d’Appello di Bruxelles, Sezione Famiglia, accertava l’idoneità della Ricorrente e provvedeva a pronunciare in suo favore l’adozione piena della minore.
La Corte aveva appurato le capacità genitoriali della Ricorrente a cui la bambina era stata affidata ancora piccolissima. L’adozione appariva dunque funzionale a garantire alla minore un rapporto giuridico stabile con la ricorrente, in luogo del mero affido e veniva pertanto ritenuta misura necessaria per assicurare la completa integrazione della bambina nella rete delle relazioni familiari della Ricorrente e garantirle quella stabilità di affetti e di rapporti necessari per il suo equilibrato sviluppo.
Veniva infatti osservato che la costituzione di un legame adottivo avrebbe comportato la creazione di un vincolo e di uno status tali da conferire sicurezza alla minore, attribuendo la responsabilità genitoriale alla signora, con tutte le conseguenze legali e patrimoniali che ne derivano.
In seguito, il comune di residenza della signora, in Belgio, procedeva alla trascrizione dell’adozione, pronunciata dalla sopracitata Corte d’Appello, e rilasciava alla minore carta di identità e passaporto.
L’adottante chiedeva quindi al Tribunale dei Minori di Bari, competente per l’ultima sua residenza in Italia, di procedere con il riconoscimento e la trascrizione della sentenza di adozione piena della minore.
È bene evidenziare che le trascrizioni delle sentenze straniere relative a minori passano, secondo le disposizioni della L. 218/1995 attraverso un riconoscimento giudiziale (a differenza delle sentenze di adozione dei maggiorenni che vengono immediatamente trascritte).
L’art. 36, comma 4, della legge 4 maggio 1983, n. 184, così dispone: “L’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i Minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione [sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione fatta all’Aja il 29 maggio 1993]”.
Nella questione che ci occupa la Ricorrente, cittadina italiana, aveva trasferito la propria residenza in Belgio da oltre vent’anni, abitandovi da allora ininterrottamente.
Risultavo dunque soddisfatti sia i presupposti applicativi dell’art. 36, comma 4, della legge n. 184/1983, sia la prima delle condizioni ivi previste per far luogo al riconoscimento, vale a dire la provenienza del provvedimento giurisdizionale di cui trattasi dal paese di residenza dell’adottante.
Anche la seconda condizione per il riconoscimento appariva soddisfatta, giacché la decisione resa dalla Corte d’appello di Bruxelles risultava senz’altro conforme ai principi della citata Convenzione dell’Aja del 1993.
I principi della Convenzione che assumono rilievo nel caso in esame sono in particolare
(a) il minore deve essere adottabile;
(b) l’adozione deve corrispondere all’interesse del minore;
(c) il minore, tenuto conto della sua età e della sua maturità, è stato adeguatamente assistito ed è stato debitamente informato sulle conseguenze dell’adozione e vi è il suo consenso all’adozione, qualora tale consenso sia richiesto;
(d) i desideri e le opinioni del minore sono stati presi in considerazione;
(h) il consenso del minore all’adozione, ove richiesto, è stato prestato liberamente, nelle forme legalmente stabilite, ed è stato espresso o constatato per iscritto;
(i) il consenso del minore non è stato ottenuto mediante pagamento o contropartita di alcun genere;
(l) le autorità competenti a disporre l’adozione hanno constatato che i genitori adottivi sono qualificati e idonei per l’adozione e sono stati assistiti con i necessari consigli.
Nel caso in esame i richiamati principi risultavano pienamente soddisfatti.
Infatti la sentenza della Corte d’Appello, richiamando l’ordinanza del Tribunale dei Minori di allontanamento della neonata dalla madre, si esprimeva in ordine alla posizione dei genitori biologici della bambina evidenziando che:
- la Ricorrente aveva avuto in affido la minore da 10 anni;
- La madre biologica era soggetto incapace alla cura della figlia;
- Il padre della bambina se ne era sempre disinteressato.
Risultava pertanto aderente anche la condizione di adottabilità della minore.
La Corte d’Appello inoltre rilevava come la misura dell’adozione fosse pienamente corrispondente agli interessi della piccola e come la Ricorrente fosse completamente in grado di farsi carico delle esigenze di vita – affettive, educative, materiali – della piccola, avendo condiviso con questa la vita quotidiana per 10 anni.
La madre biologica della minore, oltre ad aver agito con violenza sulla neonata già dalle prime ore in ospedale (reiterando comportamenti già tenuti con gli altri cinque bambini tutti prontamente allontanati a pochi mesi) non era neppure mai comparsa davanti alla Corte d’Appello che ha pertanto potuto raggiungere la conclusione che la reintegrazione della minore nell’ambiente familiare d’origine non sarebbe stata possibile, e sarebbe stata comunque contraria all’interesse della stessa.
La Corte ha identificato nell’adozione piena la misura più idonea ad assicurare alla minore il diritto a (Cass. civ. 14007/2018), un’identità giuridica certa e stabile, in piena armonia con gli interessi della stessa.
Per procedere all’adozione de qua non è neppure stato necessario il consenso della minore.
L’art. 348-1 del codice civile belga prevede espressamente come obbligatoria l’audizione del minore e, segnatamente la verifica circa la sussistenza di un suo consenso all’adozione, solo nel caso in cui lo stesso abbia già compiuto – al momento della pronuncia di adozione – il dodicesimo anno di età.
La bambina, non aveva, allo stato, compiuto i dodici anni e, pertanto, non è stato necessario raccoglierne il consenso.
Ciò posto la sentenza belga di cui la Ricorrente chiede il riconoscimento in Italia appare pienamente conforme ai principi della Convenzione dell’Aja del 1993, e soddisfa dunque le condizioni per produrre effetto sul nostro territorio.
Non è di ostacolo al riconoscimento la circostanza che l’adozione in parola sia stata pronunciata in favore di una persona non coniugata.
Come osservato in giurisprudenza (v. di recente Trib. minorenni Genova, 8 settembre 2017 in Riv. dir. int. priv. proc., 2018), la Convenzione dell’Aja del 1993, non annovera fra i suoi principi una riserva assoluta di adozione in favore delle coppie coniugate, con la conseguenza che il riconoscimento della sentenza straniera che ha pronunciato l’adozione piena di un minore da parte di un cittadino italiano residente all’estero, non coniugato, non è di per sé in contrasto con i principi della convenzione, secondo quanto richiesto dall’art. 36, comma 4, della legge n. 184/1983.
La clausola generale dell’art. 35 di quest’ultima legge – secondo cui la trascrizione nei registri dello stato civile non potrebbe aver luogo se in contrasto con i principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori – va del resto interpretata in una prospettiva conforme all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, tenuto conto in particolare del valore assegnato da tale norma alla garanzia della continuità internazionale degli status familiari, principio tanto più cogente allorché lo status familiare sia stato validamente e stabilmente costituito all’estero, in conformità all’ordinamento di origine.
Né può dirsi che tale apertura agli status creati all’estero contrasti con l’ordine pubblico italiano, se è vero che quest’ultimo, in materia di adozione, appare incentrato sull’esigenza di tutelare l’interesse del minore: interesse che solo il riconoscimento dello status acquisito dal minore stesso saprebbe realizzare.
Si aggiunga che, come chiarito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 183/1994, la riserva stabilita dalla legge italiana in favore delle coppie coniugate quanto all’accesso all’adozione non è in alcun modo necessitata dalla Costituzione: gli articoli 29 e 30 Cost., per la Corte, “non vietano al legislatore nazionale di consentire l’adozione anche da parte di persone singole che possono assicurare al minore un ambiente stabile e armonioso”.
Ciò basta ad escludere che la riserva ora ricordata integri l’ordine pubblico italiano in materia di adozione: la nozione di ordine pubblico, come confermato dalla Suprema Corte di recente (si veda, ex plurimis, Cass. 16601/2017, 19599/2016 e 1302/2013) non si spinge infatti fino a ricomprendere quei principi, pur espressi dalla legislazione italiana, che il nostro Legislatore potrebbe riconsiderare senza violare la Costituzione.
In definitiva, come chiarito dalla Cassazione (Cass. civ. 14007/2018), il riconoscimento dell’adozione può essere rifiutato per ragioni di ordine pubblico “solo se, tenuto conto dell’interesse superiore del minore, essa sia manifestamente contraria all’ordine pubblico”, e tale interesse “coincide con il diritto del minore al mantenimento della stabilità della vita familiare”.
In ultima analisi, alla luce di quanto precede, la circostanza che l’adottante sia single non impedisce il riconoscimento in Italia di una sentenza di adozione. In questo senso si sono espressi, tra gli altri Trib. Min. Firenze, 7 marzo 2017, e App. Genova, 26 luglio 2017, come già Trib. Min. Bologna, 17 aprile 2013.
Avv. Fiammetta Capecchi