Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e violazione dell’obbligo di repechage alla luce della recente pronuncia della Corte di Cassazione, sez. lavoro, n. 12132/2023.

Avv.ti Luca Viola e Claudia Scarpellini

Con sentenza n. 12132, emessa in data 08/05/2023, la Corte di Cassazione ribadisce l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro nel caso in cui questi licenzi per soppressione del posto e ne amplia il perimetro affermando che il datore di lavoro deve dimostrare, oltre all’assenza di posizioni analoghe a quella soppressa anche: “che per un congruo periodo di tempo successivo al recesso non è stata effettuata alcuna nuova assunzione in qualifica analoga a quella del lavoratore” (Cass, civ. sez. lav., sentenza n. 12132 dell’08/05/2023 – pres. Raimondi, relat. Garri).

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, in esito alla riassunzione del giudizio orinata dalla stessa Corte di legittimità (per violazione e falsa applicazione della L. 604/1966, artt. 5,1375 e 2697 c.c. in relazione alla denunciata inosservanza dell’obbligo di repechage) a seguito di due gradi di giudizio sfavorevoli al lavoratore, accoglieva il ricorso proposto dal lavoratore e dichiarava illegittimo il licenziamento irrogato ordinando la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannando la società a risarcire il danno patito dal lavoratore in misura pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento al giorno della sentenza oltre al pagamento delle spese processuali.

La Corte d’Appello di Milano, sulla base del principio di diritto attenzionato dalla Cassazione rimettente, ha fondato la predetta condanna sulla scorta di due motivazioni di fondo: i) il datore di lavoro non aveva dimostrato l’assenza di posizioni di lavoro analoghe a quella soppressa al momento del licenziamento tanto più che, nel caso di specie, era pacificamente emerso che in un arco temporale breve si sarebbero rese disponibili delle posizioni simile a quella occupata dal lavoratore per via della contestuale dimissione di due lavoratori con qualifica affine; ii) il datore di lavoro nel periodo successivo al licenziamento aveva proceduto a nuove assunzioni di posizioni analoghe a quella le lavoratore licenziato.

La ricorrente ha censurato la sentenza di secondo grado in sede di legittimità affermando da un lato, che il licenziamento del dipendente si inseriva in una più ampia operazione di riduzione del personale dovuta alle continue perdite di fatturato e, dall’altro, la genuinità delle assunzioni di nuovi dipendenti senza che le stesse potessero dirsi conosciute e/o preordinate al recesso datoriale.

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto in virtù del principio di diritto già in precedenza espresso ed ha colto l’occasione per ribadire i seguenti punti: iè il datore di lavoro a dover provare che al momento del licenziamento non v’era alcuna posizione di lavoro, analoga a quella soppressa, dove adibirlo anche per lo svolgimento di mansioni equivalenti e tenendo conto della professionalità acquisita dal lavoratore“. La Corte ha accertato di fatto che, contestualmente al licenziamento, si erano dimessi due lavoratori con qualifiche analoghe a quella soppressa ed ha così aggiunto come :“ il datore di lavoro nel valutare la possibilità di ricollocazione del lavoratore prima di procedere al suo licenziamento, debba prendere in esame anche quelle posizioni lavorative che, pur ancora coperte, si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il licenziamento”ii) la Corte si è poi spinta oltre ed ha affermato che: ” il datore di lavoro deve dimostrare che per un congruo periodo di tempo successivo al recesso non è stata effettuata alcuna nuova assunzione in qualifica analoga a quella del lavoratore “. La Corte ha escluso, nel caso di specie, che la condotta datoriale fosse improntata a buona fede e correttezza dal momento che, già al momento del licenziamento, era noto alla società che dalle dimissioni dei due dipendenti sarebbe derivata l’assunzione di altro personale.

In conclusione, la Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha definitivamente ampliato l’ambito di applicazione dell’obbligo di repechage da rispettare prima di procedere al licenziamento del lavoratore per giustificato motivo oggettivo. Diversamente il comportamento datoriale, anche se formalmente corretto, risulterà in contrasto con i principi di buona fede e correttezza.