La declaratoria di incostituzionalità dell’art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015 n.23.

“Si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014,n.183), limitatamente alle parole ‘di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio’” Corte Cost. n. 150/2020.

Il Tribunale ordinario di Bari (ordinanza n.214 del 2019) e il Tribunale ordinario di Roma ( ordinanza n.235 del 2019), entrambi in funzione del giudice del lavoro, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.23 nella parte in cui prevede, per il licenziamento intimato in violazione del requisito di motivazione o della procedura di cui all’art.7 della legge 20 maggio 1970,n. 300, la condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contributo previdenziale “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità ” e attribuisce così rilievo esclusivo, ai fini della quantificazione dell’indennità, al criterio dell’anzianità di servizio.

Secondo i rimettenti il carattere rigido ed uniforme dell’indennità prevista dal suddetto articolo, nel caso di licenziamento viziato sotto il profilo formale e procedurale, sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 4 primo comma e 35 primo comma della Costituzione.

Il meccanismo di determinazione dell’indennità parametrato alla sola anzianità, appare in contrasto sia con l’art. 3 Cost. perchè lesivo dei principi di uguaglianza e ragionevolezza sia con gli artt. 4 primo comma e 35 primo comma Cost. posti a tutela del lavoro, ed è una forma di tutela inadeguata tanto quanto quella, oggi dichiarata incostituzionale con sent. 194/2018, prevista per licenziamento affetto da vizio sostanziale (art.3 del d.lgs. 23/2015).

Ed infatti, la violazione di norme imperative attinenti alla forma e alla procedura, quali le prescrizioni relative al diritto al contraddittorio e all’obbligo di motivazione nelle procedure di licenziamento, non trova evidentemente ristoro in un indennità stabilita in “misura fissa” dal legislatore senza che sia possibile un risarcimento personalizzato, ancorchè forfettario.

Quest’ultima questione sollevata dai rimettenti è stata ritenuta fondata dalla Corte.

La rigida determinazione dell’indennità, sulla base della sola anzianità di servizio, viola gli artt. 4 primo comma e 35 primo comma Cost. che tutelano “la giusta procedura di licenziamento, diretta a salvaguardare pienamente la dignità della persona del lavoratore”.

La Corte ha affermato che il giudice, nel rispetto delle soglie fissate dal legislatore, determinerà l’indennizzo tenendo conto innanzitutto dell’anzianità di servizio “che rappresenta la base di partenza della valutazione. In chiave correttiva, con apprezzamento congruentemente motivato, il giudice potrà ponderare altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità aderenti alle particolarità del caso concreto”. Potranno allora venire in rilievo, in tale valutazione, anche la gravità delle violazioni, il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa e il comportamento e le condizioni delle parti.

La Corte ha in particolare osservato che, il principio della commisurazione dell’indennità da corrispondere per i licenziamenti viziati sotto il profilo formale o procedurale, vincolato all’anzianità di servizio “non fa che accentuare la marginalità dei predetti licenziamenti e ne svaluta ancor di più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità del lavoratore”.

La Corte Costituzionale ha concluso dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 4 del d.lgs. n. 23 del 2015 limitatamente alle parole “di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio” e invitando il legislatore a riorganizzare in maniera coerente e omogenea la normativa di riferimento.